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«La piccola città non vuole essere il quadro della vita in una comunità del New Hampshire, nè un’ipotesi sulle condizioni di esistenza dopo la morte (quello è semplicemente un elemento che ho preso dal Purgatorio di Dante). È il tentativo di trovare un valore supremo per tutti i piccoli eventi della nostra vita quotidiana. È una pretesa, una rivendicazione, cui ho cercato di dare la massima assurdità possibile, mettendo la cittadina sullo sfondo delle sterminate dimensioni del tempo e dello spazio.
Le parole che ricorrono continuamente in questa commedia sono centinaia, migliaia, milioni. Le gioie e i dolori di Emily, le sue lezioni di algebra e i suoi regali di compleanno, che valore ha tutto questo quando consideriamo i milioni di ragazze che hanno vissuto, che vivono e che vivranno? Ogni aspirazione individuale a una realtà assoluta può solo essere interiore.
E qui il metodo di allestimento trova la sua giustificazione [...]. La nostra pretesa, la nostra speranza, la nostra disperazione sono nella mente, non nelle cose, non nella scenografia. Molière diceva che per fare del teatro gli bastavano una pedana e un paio di passioni. A questa commedia bastano due metri quadrati di assi e la passione di sapere che cosa significhi per noi la vita».
Thornton Wilder
Era già stato tutto previsto: Sarà un salto di qualità, aveva detto Giorgio questa estate, e così è avvenuto. Ci sono voluti più di tre mesi, ma alla fine il risultato è stato eccellente, questo a quanto dice la critica più o meno intransigente o specializzata. E sì, perché La piccola Città di Thornton Wilder non è la solita commediola parrocchiale, come qualcuno si aspetterebbe, che si mette in scena nel giro di un mese, ma qualcosa di più: un affresco toccante di vita quotidiana, unopera dove non basta imparare a memoria la parte e ripeterla.
E stato però duro. Per tre sere alla settimana siamo stati impegnati. Ricordo i primi due mesi: ci volevano decine di minuti per interpretare correttamente ogni battuta e il lavoro procedeva a rilento con gran meticolosità. Bé! Lo sapete comè: il lavoro o lo fai bene o non lo fai. No?
E così lo abbiamo fatto bene, lo dico con sincerità e orgoglio, perché ormai siamo, a mio parere, un gruppo affiatato e maturo. Recitiamo insieme, chi più chi meno, da tre anni, alcuni da molto più tempo, e oggi a cose fatte posso affermare che tutti gli applausi ce li siamo meritati (da quelli del nonno più addormentato a quelli del critico più severo, da quelli della mamma più commossa a quelli dellamico più invidioso). Momenti di tensione ce ne sono stati: gli impegni scolastici pressanti, un po di distrazione, qualche asinata..., ma limpegno e il desiderio di riuscire erano sempre lì in agguato a dirci: manca poco, dobbiamo sbrigarci.
E così ci siamo ritrovati improvvisamente lotto dicembre, con chili di trucco in faccia, panico alle stelle, e tanta, ma tanta voglia di scappare ovunque maledicendo il giorno in cui abbiamo accettato quella sfida. Poi in scena. Le luci, il saluto, qualche papera, gli atti volavano via come secondi, e poi il sipario, gli applausi, gli inchini, e ancora gli applausi, e poi la soddisfazione, la voglia di rifarlo, di ricominciare tutto daccapo.
Lo voglio proprio dire: siamo stati grandi, dilettanti, beninteso, ma con la D maiuscola, con la passione e lambizione giuste per non sembrare troppo divi, con la consapevolezza che quel che facciamo è fatto per divertirsi, per impiegare tempo libero in modo creativo.
Tante scene, ho già detto, sono state provate e riprovate: come la cosiddetta scena del gelato (per noi la più bella), o quella della signora Gibbs che dice che la gente è fatta per vivere in due, come quella di EmilY che saluta il suo mondo elencando le piccole cose di cui non si era mai accorta, o quella di Stimson che guarda con amarezza alla vita dominata dall.ignoranza e dalla superficialità. Ma anche i piccoli gesti: il dottor Gibbs che lascia un fiore alla moglie, il pianto silenzioso di George sulla lapide di Emily...
In questi dettagli sta il vero messaggio di Wilder: scoprire il valore della vita nascosto nelle apparenti banalità quotidiane. E il pubblico ci ha capito. Grazie, quindi, a nome di tutti noi. »
pubblicato sul bollettino parrocchiale
2 parole in famiglia (n. 13, dic. 1995)
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