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1995. La piccola città

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La piccola città (Thornton Wilder). Anno 1995. Laboratorio di teatro. La piccola città (Thornton Wilder). Anno 1995. Laboratorio di teatro.
anno 1995
«La piccola città»
di Thornton Wilder
Laboratorio di teatro

«La piccola città non vuole essere il quadro della vita in una comunità del New Hampshire, nè un’ipotesi sulle condizioni di esistenza dopo la morte (quello è semplicemente un elemento che ho preso dal Purgatorio di Dante). È il tentativo di trovare un valore supremo per tutti i piccoli eventi della nostra vita quotidiana. È una pretesa, una rivendicazione, cui ho cercato di dare la massima assurdità possibile, mettendo la cittadina sullo sfondo delle sterminate dimensioni del tempo e dello spazio.

Le parole che ricorrono continuamente in questa commedia sono “centinaia”, “migliaia”, “milioni”. Le gioie e i dolori di Emily, le sue lezioni di algebra e i suoi regali di compleanno, che valore ha tutto questo quando consideriamo i milioni di ragazze che hanno vissuto, che vivono e che vivranno? Ogni aspirazione individuale a una realtà assoluta può solo essere interiore.

E qui il metodo di allestimento trova la sua giustificazione [...]. La nostra pretesa, la nostra speranza, la nostra disperazione sono nella mente, non nelle cose, non nella “scenografia”. Molière diceva che per fare del teatro gli bastavano una pedana e un paio di passioni. A questa commedia bastano due metri quadrati di assi e la passione di sapere che cosa significhi per noi la vita».

Thornton Wilder


« UN TEATRO PER LA VITA

Era già stato tutto previsto: “Sarà un salto di qualità”, aveva detto Giorgio questa estate, e così è avvenuto. Ci sono voluti più di tre mesi, ma alla fine il risultato è stato eccellente, questo a quanto dice la critica più o meno intransigente o specializzata. E sì, perché La piccola Città di Thornton Wilder non è la solita commediola parrocchiale, come qualcuno si aspetterebbe, che si mette in scena nel giro di un mese, ma qualcosa di più: un affresco toccante di vita quotidiana, un’opera dove non basta imparare a memoria la parte e ripeterla.

La piccola città (Thornton Wilder). Anno 1995. Laboratorio di teatro. La piccola città (Thornton Wilder). Anno 1995. Laboratorio di teatro.

E’ stato però duro. Per tre sere alla settimana siamo stati impegnati. Ricordo i primi due mesi: ci volevano decine di minuti per interpretare correttamente ogni battuta e il lavoro procedeva a rilento con gran meticolosità. Bé! Lo sapete com’è: il lavoro o lo fai bene o non lo fai. No?

E così lo abbiamo fatto bene, lo dico con sincerità e orgoglio, perché ormai siamo, a mio parere, un gruppo affiatato e maturo. Recitiamo insieme, chi più chi meno, da tre anni, alcuni da molto più tempo, e oggi a cose fatte posso affermare che tutti gli applausi ce li siamo meritati (da quelli del nonno più addormentato a quelli del critico più severo, da quelli della mamma più commossa a quelli dell’amico più invidioso). Momenti di tensione ce ne sono stati: gli impegni scolastici pressanti, un po’ di distrazione, qualche asinata..., ma l’impegno e il desiderio di riuscire erano sempre lì in agguato a dirci: manca poco, dobbiamo sbrigarci.

La piccola città (Thornton Wilder). Anno 1995. Laboratorio di teatro. La piccola città (Thornton Wilder). Anno 1995. Laboratorio di teatro.

E così ci siamo ritrovati improvvisamente l’otto dicembre, con chili di trucco in faccia, panico alle stelle, e tanta, ma tanta voglia di scappare ovunque maledicendo il giorno in cui abbiamo accettato quella sfida. Poi in scena. Le luci, il saluto, qualche papera, gli atti volavano via come secondi, e poi il sipario, gli applausi, gli inchini, e ancora gli applausi, e poi la soddisfazione, la voglia di rifarlo, di ricominciare tutto daccapo.

Lo voglio proprio dire: siamo stati grandi, dilettanti, beninteso, ma con la D maiuscola, con la passione e l’ambizione giuste per non sembrare troppo divi, con la consapevolezza che quel che facciamo è fatto per divertirsi, per impiegare tempo libero in modo creativo.

Tante scene, ho già detto, sono state provate e riprovate: come la cosiddetta scena del gelato (per noi la più bella), o quella della signora Gibbs che dice che la gente è fatta per vivere in due, come quella di EmilY che saluta il suo mondo elencando le piccole cose di cui non si era mai accorta, o quella di Stimson che guarda con amarezza alla vita dominata dall.ignoranza e dalla superficialità. Ma anche i piccoli gesti: il dottor Gibbs che lascia un fiore alla moglie, il pianto silenzioso di George sulla lapide di Emily...

In questi “dettagli” sta il vero messaggio di Wilder: scoprire il valore della vita nascosto nelle apparenti banalità quotidiane. E il pubblico ci ha capito. Grazie, quindi, a nome di tutti noi. »

di Andrea Zambrano e Fabio Zanti
pubblicato sul bollettino parrocchiale
“2 parole in famiglia” (n. 13, dic. 1995)



 

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